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In un mondo che gira e gira, come una trottola impazzita, noi ci vantiamo d’essere decisamente statici. Siamo fissi e immobili in una società in costante movimento, piccoli Davide coi piedi ben piantati di fronte a un Golia in preda a una danza sfrenata.

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Arriviamo alla matematica: il numero delle lettrici sta davvero crescendo? Se il numero dei lettori generali cala e quello percentuale delle lettrici sale, viene qualche dubbio che si possa parlare di crescita. Suona più come il prendere possesso di una nave che affonda.
Ma il vero dato numerico è cosa vende. I romanzi-prodotto femminili hanno già saturato il loro mercato. Vendono quelli di punta, o quelli resi famosissimi da serie e film, ma non c'è spazio per i nuovi piccoli. Questo è quello che si definisce un cul-de-sac.
I libri famosi sono comprati in buona parte da lettrici occasionali o non lettrici, secondo uno schema che non ha nulla di diverso dal libro dello youtuber o del rapper di grido del momento. Una volta che l'industria si sarà resa conto (e lo sta già facendo) di aver spremuto tutto lo spremibile dalle clienti, si rivolgerà altrove; una volta che sarà chiaro che la sorellanza può sì far spendere 20 euro all'anno, ma non 400 (e lo è già) la narrativa inizierà a trascinarsi pesantemente altrove, in cerca di di altre fette di mercato da depredare. La narrativa femminile sta morendo da quasi un anno per chi comprende appena un po' la matematica e l'economia, ma questa notizia non è arrivata a chi crede che il modello maschile sia il fondatore di start-up. Davvero sorprendente!

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Secondo fatto: esiste un collegamento evidente tra femminilizzazione della narrativa e calo della lettura, e questo collegamento si chiama qualità. La letteratura popolare "maschile" ci ha lasciato una marea di capolavori apprezzati da uomini e donne: Sherlock Holmes, Tarzan, Cthulhu, solo per citarne alcuni. La narrativa di oggi è concentrata sulla vendita e sulla produttificazione del libro. Il racconto dell'ancella non regge il paragone con storie "maschili" e "femminili" del passato, ed è diventata un meme per il suo modo di sdoganare la pornografia più o meno soft femminile.

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In secondo luogo alla fine dell'articolo butta giù un paragrafo di una sessantina di parole per dire che non si legge più, il tutto dopo aver lodato per per decine e decine di righe l'avanzata femminile nel mondo del libro. La chiave interpretativa vorrebbe essere che se gli uomini si liberassero dallu capitalism e dallu partriarcat come le donne allora la gente leggerebbe di più.

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è talmente assurdo che riporto la citazione

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Credere che "la vera causa" proposta da Tucidide sia in effetti corrispondente ad una causa reale significa semplicemente credere ad una propaganda. L'idea meccanicistica di due potenze che diventano automaticamente troppo grandi per poter convivere ha certo il suo fascino, ma è di fatto smentita ampiamente dall'andamento della guerra stessa (e dalla spedizione in Sicilia in particolare) che dall'andamento generale della guerra antica. La Guerra del Peloponneso non fu una guerra di definizione di ambiti (come le infinite guerre tra Romani, poi Romei, e Persiani, o quelle tra francesi e tedeschi più vicine a noi) ma una guerra di annientamento. La ragione di questa guerra non fu che la Lega di Delo e la Lega del Peloponneso erano diventate troppo grandi e potenti per poter evitare di scontrarsi, ma piuttosto che Atene si era convinta di essere tanto potente da potersi permettere di diventare egemone della Grecia intera senza troppi problemi; il che aggiunto al fatto che, dopo aver assaggiato il tesoro degli alleati, quello con cui è stata costruita l'Acropoli che vediamo anche oggi, non riusciva più a staccarsene. Inoltre la fazione dei Rematori (quella di Pericle, per intenderci) aveva un assoluto bisogno di credere e propagandare l'assoluta superiorità della marina sull'esercito di terra per poter mantenere il suo prestigio a discapito della fazione degli Opliti. Le cause della Guerra del Peloponneso furono tutt'altro che meccaniche: furono il frutto di molte scelte di comodo, hybris, avidità e opportunismo politico. Tucidide, della fazione dei Rematori, doveva credere al mito dello strapotere ateniese e doveva credere che lo scontro diretto fra le due grandi alleanze fosse fatalmente inevitabile.

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Si loda sempre il metodo storico di Tucidide, ma un metodo dovrebbe essere valutato per i suoi risultati e Tucidide morì in pieno declino della potenza ateniese non avendo capito minimamente la portata di quello che stava accadendo nella guerra.

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Tra gli appassionati di aviazione probabilmente i più fastidiosi sono i fan del P40. Aereo bruttino e abbastanza mediocre in tutto, tuttavia più che sufficiente ai Flying Tigers per contrastare i Ki-43, notoriamente molto male armati e ancora peggio protetti. Questo ovviamente non dovrebbe renderlo meno amabile purché lo si tratti con la dovuta sincerità: un aereo mediocre, ma gli si vuole bene lo stesso. I fan del Me163 Komet ad esempio non metteranno mai in dubbio che sia stato una pessima idea, che fosse fragile, che il carburante altamente esplosivo e corrosivo non fosse proprio la scelta più saggia e che il progetto si sia rivelato in breve un fallimento. I fan del C.R. 42 non negheranno mai che, per quanto fosse un ottimo biplano, non era adatto alla seconda guerra mondiale. I fan del P40 però no, lo vedono come un aereo eccellente, quello che ha insegnato il boom and zoom, "più manovrabile di un P51", "più resistente del Ki-43", o addirittura, inventando completamente una storia alternativa "lo sterminatore di Zero". Su quest'ultimo non solo parlando di una storia operativa praticamente inesistente, ma tacendo delle capacità dell'A6M estremamente superiori rispetto al suo fratello dell'aviazione Ki-43, per lo meno per quanto riguarda velocità massima e armamento.

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Il "bene comune" è un'espressione rubata alla politica cristiana e riadattata in senso utilitaristico. Quando se ne parla, si intende il "bene maggiore". La differenza tra i due concetti è sottile ma sostanziale.
Il bene comune (quello vero) si muove secondo dei limiti chiari, linee rosse da non oltrepassare; non pretende di risolvere i problemi, se il costo imposto sulla comunità è troppo alto, ma è sempre pronto a fare il possibile per alleviare la situazione. Il bene comune (quello vero) è pratico, semplice, paziente, rispettoso del reale, pronto ad accettare un cambiamento lento. Il sacrificio che accetta è quello volontario e personale solo se estremamente necessario; non è egoista al punto da pretendere il sacrificio altrui per un bene condiviso.
Il bene maggiore (quello che viene per lo più chiamato bene comune oggi) invece si basa sul concetto apparentemente nobile di ottenere il massimo bene al minimo costo. Quest'idea si presta particolarmente ad essere impugnata ideologicamente in vista di un bene maggiore al prezzo di un sacrificio estremamente oneroso. L'attenzione di chi lo usa come metro è in primo luogo il risultato e poi si guarda al costo e si sceglie il minore. Proiettando tutta la propria attenzione ad un obiettivo lontano si perde facilmente il contatto con la realtà e quindi con l'efficacia del sacrificio stesso, che viene di conseguenza riperpetrato a oltranza, proprio perché ritenuto accettabile in vista del bene maggiore. In altre parole ci si trova in breve in un meccanismo circolare vizioso simile al sacrificio azteco: il sole ha bisogno di cuori umani per non morire, il sacrificio più accettabile è quello di popolazioni confinanti sottomesse; ovviamente i confinanti non la vedono proprio così, ma si ha lo strumento per farglielo accettare, non vorrete mica lasciar morire il sole!
Se si vuole un altro esempio, la lega di Delo fu costruita in chiave antipersiana, poi diventata antispartana. Con i soldi della lega è stata costruita l'Acropoli di Atene, perché Atene era la locomotiva dell'alleanza, quella con la flotta più grande, e non vorrete mica lasciare indifesa l'alleanza!
Il bene maggiore, travestito da bene comune, insomma, diventa normalmente appannaggio del più forte o del più spregiudicato che lo converte nel suo bene concreto e tutto va bene fino a che non va male e l'egemone svela la sua arroganza e spregiudicatezza.

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La mentalità del turista in cerca di luoghi esotici fuori dal tempo per assurdo è molto più diffusa tra gente che viaggia per lavoro (ed in particolare scrittori e giornalisti) che tra i turisti veri e propri. Chi va in vacanza è normalmente molto più umile e disposto a scendere a compromessi; gli interessa meno fare la vera esperienza del posto e più fare una bella esperienza; l'albergo a cinque stelle non gli dispiace ed è disposto a rinunciare persino alla possibilità di tornare a casa con la malaria. Il viaggiatore professionista invece, dall'alto della sua spocchia, vuole davvero vivere da arretrato e così porta con sé arretratezza.

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Si critica tanto l'imperialismo coloniale, e certamente in buona parte a ragione ma, se l'alternativa è vedere il resto dell'universo come una meta vacanze esotica, allora credo l'imperialismo sia preferibile. Chi vuole conquistare il mondo almeno cerca di fare in modo che funzioni; il turista vuole bloccarlo in una realtà al di fuori del tempo e dello spazio, soffocando ogni possibilità di sviluppo naturale e indotto. Il colonizzatore deve sviluppare la colonia, anche se forzatamente e con l'oppressione; il turista si muove come un predone in cerca di tesori particolari che può trovare solo lì.

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*Tossettina imbarazzata*

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L'epoca d'oro della filologia classica si è conclusa con la fine del 1800 quando ormai tutti i classici più importanti erano già stati collati e avevano avuto le loro edizioni critiche. Quello che restava (e resta da fare) era principalmente lavoro a margine, correzioni e lavoro su testi minori.
Proprio in quel momento però ha iniziato ad ottenere popolarità, proprio perché aveva finalmente raggiunto dei grandi risultati. Così sono nati i fantafilologi, o degli accademici seri si sono venduti all'avanspettacolo, soprattutto quando si è iniziato a parlare di filologia biblica. Per assurdo (come nel caso di Garbini di cui ho parlato qualche giorno fa') i fantafilologi si sono presentati come più credibili non solo alla gente, ma soprattutto agli accademici. Questa assurdità però si risolve rapidamente conoscendo gli accademici stessi: appollaiati su di una scienza vecchia, condannati solamente a perpetuarla, sono facili da sedurre con qualche novità.

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Sei disposto a rinunciare a qualcosa che hai caro per chi dici di amare? E chi dice di amarti è disposto a rinunciare a qualcosa per te?

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In molti casi quando un discorso inizia a diventare particolarmente teorico è perché si stanno accampando scuse.

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Il suffragio universale è stato usato come rampa di lancio per l'isolamento del cittadino davanti al potere. Non c'è niente di male che ciascuno dica la sua nella politica, ma diventa un meccanismo contro il cittadino quando è utilizzato per favorire il conflitto invece che il confronto. Il suffragio universale, insomma, è stato introdotto solo quando la politica si era trasformata da dibattito in guerra tra pochissimi blocchi estremamente agguerriti e dopo che ciascuno di essi aveva demonizzato la fazione opposta. Il "o con noi o contro di noi" autoritario è stato ampiamente abbracciato dalla mentalità democratica del dopoguerra; la stessa democrazia in Italia è stata proposta con la stessa dicotomia forzata. Questo rende estremamente difficile la collaborazione tra fazioni non perfettamente allineate e si finisce col vivere con un costante senso di sospetto persino nelle comunità più ridotte. La discussione politica in famiglia è spesso trasformata in un tentativo di sopprimere l'opinione altrui o di allinearla forzatamente alla propria, perché l'opinione diversa è percepita come una minaccia.

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La verità è che anche le grandi autrici donne dell'età dell'oro dell'editoria (Annie Vivanti, Carolyn Wells, Agatha Christie, per fare qualche nome) scrivevano opere e non prodotti. Per quanto fossero volutamente facili e piacevoli da leggere non sfruttavano i mezzi dei "romanzi femminili" moderni. Non avevano bisogno di parti piccanti, né di andare a titillare fantasie femminili legittimate in nome del femminismo. Se togliete il sesso a Cinquanta Sfumature e Bridgerton, cosa resta?

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Il pezzo sarebbe interessante se si curasse di due cose: i fatti e la matematica.
Partiamo dai fatti: l'autore dell'articolo dà la colpa della carenza di lettori maschili al fatto che l'uomo postmoderno è tutto intento al lavoro, al successo, alla carriera. Il modello maschile, secondo lui, è quello del fondatore di start-up. Ma è vero? Persino se ci limitiamo al solo mondo virtuale, l'idea dell'uomo tutto lavoro è passata di moda da anni, dopo aver raggiunto il picco col Covid. La maggior parte della gente lavora da dipendente, con possibilità di carriera abbastanza scarse. Credere che la cultura yuppie o neoyuppie abbia mai avuto spazio al di fuori di una ristrettissima elite è segno di scarsissima capacità di comprendere il reale. Allo stesso tempo, credere che i fondatori di start-up e affini (per lo più ingegneri, informatici, laureati in economia) abbiano mai avuto un particolare interesse per la lettura, significa non averne conosciuto nessuno. Chi ha degli amici ingegneri veri (non quelli di comodo per poter criticare la categoria impunemente) sa che è molto raro e prezioso fra di essi chi legge. Devo ancora conoscere un laureato in economia della mia età che legga narrativa.

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Mi permetto di notare un paio di cose su questo pezzo: In primo luogo è stato scritto da un uomo; questo uomo si mette nella piccola elite di uomini che leggono (i giornalisti culturali e gente dell'editoria). Questo uomo non capisce il dato che ha davanti perché lo guarda in modo estremamente parziale e attraverso delle lenti colorante estremamente appannate, che però gli permettono di fare esercizio di ego.

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Articolo imbecille che riassumo in quattro righe:
- Solo più le donne leggono romanzi
- Solo più le donne scrivono romanzi
- Le donne leggono romanzi di donne per la sorellanza femminista (sì, c'è scritto questo)
- Gli uomini non leggono romanzi per il capitalismo (sono visti solo come unità produttive). E di nuovo sì, c'è scritto esattamente questo

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Lo storico loda sempre il metodo di Tucidide, ma finisce coll'adottare molto più spesso quello di Erodoto. Invece di stabilire una regola astratta secondo cui interpretare la realtà, si informa sulle fonti, verifica di persona, e riporta i risultati.

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L'Enciclopedia di Diderot è stata l'inizio della fine della conoscenza. Ironia delle ironie, l'opera che ha trasformato la conoscenza in nozionismo si chiama come il percorso di formazione universitario orientale, quello corrispondente al nostro trivio e quadrivio, che puntava a creare un uomo saggio e sapiente e non un cumulo di luoghi comuni. La spocchia illuminista, col suo razionalismo spicciolo, pensava davvero di racchiudere la conoscenza umana in modo ordinato in un'opera sola, razionale, ordinata e di facile consultazione. Il risultato fu già allora una folla di so-tutto-io che pensavano di godere i frutti di una sana erudizione senza la fatica dello studio. Oggi però abbiamo l'IA. Non c'è neanche bisogno di capire di cosa si sta parlando, si chiede "Grok è vero?" e grok risponde, nella maggior parte dei casi con la stessa imprecisione e faziosità che Diderot stesso lamentava della sua opera.

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Il nostro silenzio è una cosa preziosa e alle volte è sano e giusto farne uso. Parlare a vanvera o, ancora di più, sfogare la propria emotività sovraccarica su altre persone, magari spaventate o ferite è un danno, soprattutto quando si tratta di cose che non comprendiamo. Imparare a tacere quando non si ha davvero nulla da dire è un atto di carità.

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L'imbarazzante tentativo di Wikipedia di scagionare in qualche modo Robespierre sottolineando che le settimane peggiori del Terrore furono quelle in cui si era ritirato dalla politica; il tutto come se non fosse stato lui stesso ad appellarsi alla Pianura perché facesse passare la legge del 22 Pratile per trasformare i processi nella sola emissione della sentenza

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L'esterofilia non è semplice amore dell'estero, ma amore dell'estero in quanto luogo altro rispetto a casa. È l'idealizzazione del fuori, liberarsi del padre e della madre per futili motivi, con la scusa di essere loro superiore.

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Piccola nota: probabilmente non vengono direttamente immessi altrettanti soldi nel circuito del libro, ma si fa di certo una quantità incredibile di pubblicità gratuita a libri particolarmente politici. Quando iniziate a vedere uno scrittore continuamente in televisione, non è perché ha scritto buoni libri.

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La denuncia dell'ipocrisia è sempre stata l'arma preferita dei più ipocriti di tutti, quelli che vogliono cambiare il mondo per non cambiare loro stessi.

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La ragione per cui in Occidente è stata prima abolita la tortura e poi limitata progressivamente e abolita la pena di morte è stato in reazione all'ampio uso politico che si è fatto di entrambe. Con l'assolutismo si identificò lo Stato e la Nazione nel re al punto da qualificare l'opposizione al sovrano come tradimento. Il meccanismo statale però era lento e inefficiente e lo restò fino alla Rivoluzione Francese. La ragione di stato divenne la giustificazione delle stragi perché l'impalcatura culturale per farlo era già pronta, mancava solo la capacità di perpetrare. Dopo le follie del 93 e l'esplosione delle condanne a morte cominciate con gli hebertisti e gli Indulgenti nel 94 ci si rese conto che lo Stato godeva di una forza assoluta nei confronti del cittadino e che questo era male. Il problema non era solo che tale potere potesse essere amministrato da un sanguinario come Carrier; Robespierre non era un sanguinario e neanche un violento, ma piuttosto un idealista, eppure operò di fatto un massacro. In altre parole occorreva equilibrare un tale potere e contenerlo perché sia il violento che l'uomo piccolo al potere non imperversassero.

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"Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni".
"La causa vincitrice piacque agli dèi, ma quella vinta piacque a Catone".
Lucano, Farsalia, I, 128

Probabilmente fra le sententiae più dannose mai scritte. L'orgoglio dello sconfitto che non è disposto a compromessi con la realtà quasi ci fosse superiore è un flagello.

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Attenti al Filologo

Qualcuno forse si ricorda Benigni nel 2020, quando lesse dei brani del Cantico dei Cantici che diceva provenire dal testo più antico.
Approfondendo un attimo, la lettura proveniva da una traduzione "filologica" di Giovanni Garbini; il che all'uomo comune, giustamente, non dice assolutamente nulla, ma fa suonare un immediato campanello di allarme al semitista.
Sia chiaro, come molti accademici, Garbini è stato molto serio nei suoi studi più "istituzionali"; ho studiato la storia delle lingue semitiche sul suo manuale (l'unico così completo e così riassuntivo) e la sua teoria di sviluppo a "pianta di banano" è estremamente affascinante e credibile.
Però, come molti accademici, la serietà ha lasciato spesso il posto alla fantasia quando si iniziava a dedicare a pubblicazioni per il grande pubblico. Così Garbini ha sviluppato un suo metodo di traduzione "filologica" che, sotto la scusa della ricerca del testo originale, lo manipola fino a raggiungere un risultato desiderato, cambiando o invertendo qualche innocente letterina qua e là. L'operazione era giustificata tramite un aggrapparsi parecchio precario ad una delle grandi regole della filologia, quella della lectio difficilior, che insegna a scegliere tra diverse varianti quella meno banale. Il problema centrale è che la variante scelta se la era inventata lui e non era attestata nei manoscritti. In altre parole si inventava una parola un po' diversa andata perduta e poi la sceglieva come se corrispondesse al "testo più antico".
Se questa metodologia venisse applicata in qualsiasi altro ambito, verrebbe immediatamente denunciata come un falso. Nella filologia, però, ed ancor più in quella legata ai testi cristiani, la cosa è ampiamente tollerata, purché sia immessa non nel dibattito accademico, ma nel mercato editoriale. Si tratta di una specie di tributo alla menzogna che la filologia paga per far parlare di sé al grande pubblico, e per tenere vivo l'ego dei suoi luminari.

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Saint Just è l'esempio perfetto dell'attivista progressista: oratore appassionato (cosa che non si può dire di Robespierre), sempre pronto a credere e agire senza fare domande, praticamente fanatico, lodato da Wikipedia come amante sincero della democrazia.

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