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In un mondo che gira e gira, come una trottola impazzita, noi ci vantiamo d’essere decisamente statici. Siamo fissi e immobili in una società in costante movimento, piccoli Davide coi piedi ben piantati di fronte a un Golia in preda a una danza sfrenata.

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Mi propongono una riflessione di cui questo è un minimo corollario
https://www.youtube.com/watch?v=DAfBfpOSIok

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Create dei personaggi interessanti e avrete dei dialoghi interessanti.

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La cattiveria spesso parte da una progressiva desensibilizzazione alla verità.

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Aggiungiamo due informazioni di contesto, che non guastano: la visione storica di Voltaire si basa su di una grande ma sottile menzogna: l'Europa è appena uscita dalle Guerre di Religione e dai loro strascichi (inclusa la Guerra Civile Inglese). Far passare l'idea che sia la religione a provocare le guerre era estremamente facile, perché era più di un secolo che veniva impugnata per giustificare le peggio cose.
Voltaire finge di ignorare la spregiudicatezza proprio della sua gente nel fare alleanze con gente di religione diversa (sia protestanti che islamici) pur di indebolire i propri avversari. Il suo animo mercenario, d'altra parte, lo manderà al servizio del principe più guerrafondaio d'Europa, Federico II di Prussia.

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Entrate nella Borsa di Londra, in questo luogo più rispettabile di molte corti; vi vedete riuniti i deputati di tutte le nazioni per l'utilità degli uomini. Qui il giudeo, il maomettano e il cristiano discutono insieme come se fossero della stessa religione e non danno dell'infedele se non a chi fa bancarotta; qui il presbiteriano confida nell'anabattista e l'anglicano accoglie la promessa del quacchero.

Voltaire, Lettere Filosofiche, VI.

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La provocazione non fa davvero nulla per sconvolgere lo status quo, anzi lo rafforza, facendoci creder di aver cambiato qualcosa

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Un'eccessiva accettazione delle mancanze altrui non è misericordia, ma mancanza di amor sui; non è perdono, ma trascuratezza.

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La "neolingua" funziona solo se uno vuole che funzioni su di lui. Non è manipolazione ma automanipolazione, volta a giustificare porcherie e concezioni errate a cui non vogliamo rinunciare.

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Il sincero rifiuto dell'ordine dice molto di più dell'ordine a cui si è stati sottoposti che della natura dell'anarchico. Il ribelle ha sempre delle ragioni per ribellarsi, anche se sceglie una scorciatoia rispetto alla riforma.

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Goethe ha fatto quello che ha fatto la Rivoluzione Francese ma in letteratura: ha preso tutto quello che c'era prima, l'ha buttato via e ha provato a ricostruire da zero un nuovo umanesimo basato sui buoni sentimenti.
Sia chiaro: una scossa al razionalismo imbecille e conformista degli illuministi era necessaria; può darsi anche che dovesse venire in buona parte smantellato; ma le fondamenta erano solide e non aveva senso andare semplicemente a costruire altrove, quasi per dispetto.
Quel che ne è uscito, d'altra parte, è un pastrocchio come la Rivoluzione, e una dittatura come quella di Napoleone, solo con a capo il sentimento e l'individuo.

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L'individualismo ottocentesco non deve sorprendere: in una società estremamente strutturata, dove all'uomo era ormai permesso solo di preoccuparsi degli affari e alla donna delle amanti del suo uomo era necessario un riequilibrio. Il femminismo in questa prospettiva pare quasi deterministicamente necessario alla sopravvivenza sociale della donna. Il problema è che agiva sui sintomi e non sulle cause; il soffocamento dettato dalla società puritana è rimasto, solo ha qualche valvola di sfogo in più per non esplodere in mille pezzi.

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Va notato che non esiste alcun problema nel riscrivere anche cento volte la stessa storia, se si appartiene a quel gruppo di persone poco immaginative ma molto capaci nel descrivere, imprimere un'atmosfera, mostrare diversi punti di vista o in qualsiasi altra capacità lo sfoggio della quale può spingere a reinterpretare la stessa trama. Il problema è che bisogna essere capaci a farlo. La creatività, per quanto possa sembrare sorprendente, non è solo una risorsa limitata, ma anche scarsa. In parole banali, si è bravi a fare solo ciò che si è bravi a fare e nulla più. Non si può convertire i propri talenti in altri, non ci sono pulsanti di respec nella vita e questo è ciò che permette alla società di funzionare, "ma voi torcete alla religione tal che fia nato a cignere la spada e fate re di tal che è da sermone".

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In generale Kenneth Branagh, da quando ha smesso di fare adattamenti molto fedeli di Shakespeare ha rovinato praticamente tutto quello che toccava per una semplice ragione: non è un artista, non è un creativo, è un buon esecutore. La sua capacità sta nell'usare l'immaginazione per riprodurre le cose, non per produrle; come tanti bravi esecutori, però, si è fatto prendere un tantino la mano dalla fama e ha iniziato a creare, cosa che non sa fare

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Il modo in cui le persone religiose postmoderne vorrebbero vivere è quello dei Mennoniti. Citano il Salmo 1 "Beato l'uomo che non siede nel consiglio dei malvagi" per giustificare il loro desiderio di vivere in un mondo a parte, dove non è richiesto l'esercizio del libero arbitrio. È una cosa difficile essere nel mondo senza essere del mondo, forse, chissà, impossibile; quindi a che vale tentare? Questo però non è ragionare da uomini, ma da schiavi. È buona cosa seguire il consiglio del Salmo 1 e scegliere con cura le proprie amicizie e coloro a cui si chiedono consigli; questo non può sostituirsi alla nostra scelta. Rifugiarsi in un mondo in cui tutto è buono è un'illusione e un'idolatria; significa credere nel sistema piuttosto che in Dio, e non importa se il sistema sia religioso o meno. Non si nasconde la candela sotto il moggio, ergo, dopo i primi dieci, non si viola l'undecimo comandamento: "Starai nel consorzio dei tuoi simili; vivrai della loro medesima vita; amerai e soffrirai con essi, perché non ti è dato sottrarti alla legge comune".

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Gli accademici sono molto di rado in contatto con la propria genialità e per creare è questo che serve e dire cose originali è creare.

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Molto del risentimento nei confronti della Chiesa e della religione deriva da una sensazione di tradimento rispetto all'idea che la religione stessa, e l'ottemperanza ai suoi precetti, ti renda una persona migliore. È un'idea partorita durante le guerre di religione e che ha raggiunto maturità nel vittorianesimo e, come molte sue simili che hanno fatto lo stesso percorso, è falsa.
Il Cristianesimo e la Chiesa esistono per salvarci. Questo si lega certamente ad una liberazione dai propri errori e dalle proprie storture, ma non nel modo in cui intende il puritano.
Occorre tornare indietro un passo: il puritano non crede nel libero arbitrio, quindi crede che ci si salvi solo per grazia. Di conseguenza la salvezza diventa immediatamente un pulpito da cui sputare in testa agli altri.
Un salvato però non è minimamente salvato dalla tentazione e può ricadere in qualsiasi momento. Il tradimento vittoriano è stato nel farci credere di poter essere ontologicamente e definitivamente buoni e di poterci privare della libertà di sbagliare semplicemente seguendo qualche bella regoletta. Il "tradimento" della realtà è stato di ricordarci la nostra immensa debolezza e incapacità di farcela da soli. Il vittorianesimo ci ha solleticato l'orgoglio, e non vogliamo accettare di essere sempre limitati, nonostante tutte le buone cose che possiamo fare.

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L'ignoranza, alle volte quasi offensiva, di critici e divulgatori è lo spiegabilissimo frutto di due fattori.
Il primo è l'esasperato citazionismo in campo accademico e para-accademico (ne ho parlato qui https://scheggeriunite.it/studio-senza-arte-poco-giova/) che ha portato a dover simulare di leggere moltissimo e a finire col citare le citazioni altrui (necessario quando finisci con l'avere una bibliografia di un centinaio di titoli).
Il secondo è l'occupazione di ogni campo della cultura da parte di una certa parte politica, il cui scopo è poi diventato non di espandere la propria conoscenza e originalità, ma di difendere coi denti e col sangue, possibilmente altrui (si intende il sangue, non i denti), la posizione conquistata. Il nuovo critico, come chiunque altro debba dare un'opinione non legge più un libro, un documento, un fatto, ma nel libro, nel documento, nel fatto legge solamente il suo essere nel giusto, la giustificazione morale ed ontologica della propria posizione di privilegio.

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Su questo andrebbe aggiunto lo strano rapporto illuminista col mondo islamico, testimoniato anche dalle Lettere Persiane di Montesquieu. Entrambi i testi testimoniano un'ignoranza pressoché completa della realtà musulmana, le sue leggi, i suoi usi, i suoi costumi. La ragione per cui viene inserita nel latitudinarismo illuminista come interlocutore credibile non si regge su alcun vero presupposto positivo quanto piuttosto su di un tentativo di staccarsi dalla centralità occidentale. In altre parole è la fede nella religione della ragione che impone di accogliere il maomettano, non il fatto che si fosse trovato qualcosa in comune. Se mai un Voltaire si fosse trovato con un musulmano, con tutta probabilità la faccenda si sarebbe risolta in un silenzio imbarazzato da entrambe le parti.

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Ovviamente, Voltaire, essendo un illuminista, non aveva la minima idea che i maomettani sono estremamente diffidenti delle istituzioni bancarie occidentali, perché non è loro permesso prestare a interesse.

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Quando vi dicono che il commercio porta la pace non stanno citando la storia, stanno citando questo passaggio di Voltaire:

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Il Grimdark può reggere la sua grande potenzialità di tragedia postmoderna solo se non si mantiene esclusivamente Grimdark. C'è una ragione per cui non tutte le tragedie finiscono male ed è che altrimenti diventerebbe un semplice cliché, perdendo tutta la sua capacità narrativa. Questo non vale solo per la tragedia, ma anche per i finali spesso dolceamari del Grimdark, che portano nel pubblico, in breve, ad un atteggiamento di pessimismo cinico e mediocre, rovinando l'intera esperienza.

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La libertà implica la responsabilità e questo vale anche per la libertà di parola. La libertà di parola non è semplicemente dire tutto quello che si vuole, ma saper rispondere di tutto ciò che si dice.

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"I personaggi a tutto tondo cambiano durante la storia" è una definizione troppo facile che ha prodotto più obbrobri che altro. È facile fare cambiare un personaggio, difficile rendere un personaggio non piatto. Il cambiamento può essere un segnale di tridimensionalità ma non è sufficiente, né necessario.
La verità è che fino a che un personaggio è in movimento è molto più facile nasconderne l'appiattimento. Alla conclusione del suo arco narrativo però viene fuori quello che è, senza alcuna possibilità di scampo. Esistono miriadi di personaggi che sul finale sono molto più banali e vuoti e grigi di quanto non lo fossero all'inizio della loro storia. Conta molto di più lo sguardo sui personaggi di ciò che fanno.

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L'Ortis di Foscolo dimostra solo la natura derivativa di tutta l'opera dello zacintese. Inserire il patriottismo, una virtù eminentemente comunitaria, in un'opera sommamente individualista dimostra come il metodo foscoliano si basi non tanto sull'imitazione ma sul plagio in cui vengono inserite le cose di moda del tempo. Avrebbe avuto gran fortuna a lavorare per la Disney.

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Il giornalismo è per lo più un pessimo uso della fantasia.

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Traducendo "Danton. Uno studio" di Belloc mi sono imbattuto in un'idea che è andata persa. Si parla della sua formazione e si dice: "due anni impiegati per intero nella letteratura della tarda repubblica e del primo impero, una base degli elementi che danno al francese istruito una familiarità quasi medievale col pensiero romano". Questo ovviamente è inserito nella formazione di un avvocato. L'idea di fondo è che per conoscere a fondo le nostre istituzioni occorre prima di tutto comprenderne lo spirito e poi il funzionamento.
Belloc lascia passare questo fatto come se fosse un'ovvietà e forse per un anglo-francese di fine ottocento la era, ma non la è più per noi. Di fronte ai classici noi sappiamo solo balbettare che sono importanti; per Belloc la questione è che i classici siamo noi. Non è che la nostra civiltà è nata coi Greci e coi Romani, noi siamo i Greci e i Romani di oggi, i loro diretti discendenti spirituali. Conoscere la tarda repubblica e l'impero parla al nostro appartenere ad una democrazia e ad un impero. Certo non siamo uguali, ma nessuno rimane sempre uguale a sé stesso. Conoscere i classici è conoscere noi stessi, la nostra civiltà di oggi.

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https://www.youtube.com/watch?v=NaTLsY9rdfM

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Il problema che abbiamo oggi coi classici è lo stesso dei tempi di Minerva e lo Scimmione di Romagnoli: non ci mancano edizioni specialistiche e filologiche ma edizioni per il grande pubblico. Questo fatto è aggravato dalla pressione della concezione dei classici anglosassone sulla nostra. Se dovessimo spiegare quest'ultima, potremmo definire il classico un testo antico che ha qualcosa da insegnarci. La concezione anglosassone, molto spinta nel loro ambito accademico, vede nel classico una specie di potente risorsa di prestigio e autorità; una sorta di forza assoluta che si può plasmare per adattarla alla mentalità moderna ed imbrigliare per trarne vantaggio. È la stessa concezione che ha il cattivo di Codice Genesi della Bibbia, e ha molto a che fare con la mentalità protestante del sola scriptura. Il libro antico diventa una risorsa in quanto antico, senza chiedersi perché è sopravvissuto. Da qui le infinite e tediose riscritture e rinarrazioni del mito, da qui le traduzioni caricate ideologicamente della Wilson (e da noi di Fatica, il più italiano di tutti i traduttori all'americana).
La conseguenza però è che in breve il classico perde ogni sua ragione di esistere come realtà a sé stante e diventa in breve solo un piedistallo da cui sputare (per non dire di peggio) in testa ai plebei che non lo conoscono.

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Prendere una posizione rigida su una questione è molto più comodo di prenderne una articolata.

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Romanzo-saggio, vituperio delle genti, hai fatto credere a degli scappati di casa freschi di università di saper scrivere fino a consacrarli nell'Olimpo della narrativa contemporanea!

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